Sara Solovitch si presenta sul suo sito (SaraSolo.com) come «una giornalista, una madre, una giardiniera, una lettrice vorace, un’escursionista e una cuoca molto brava». A tali qualifiche se ne aggiunge una che le ha causato non pochi grattacapi. La versatile Sara è infatti una pianista classica, ma le prime esibizioni in pubblico le hanno procurato la tipica ansia da performance. Il percorso intrapreso per affrontare e superare la sua paura è stato lungo e impegnativo, ma grazie a questa irta strada ha avuto la possibilità di parlare con numerosi artisti che hanno avuto o hanno il suo stesso disturbo. Dalle chiacchierate e dai racconti dei suoi (famosi) interlocutori è nato un libro, Playing Scared. A History and Memoir of Stage Fright, edito da Bloomsbury.
Gli aneddoti riportati sono più o meno noti, alcuni spassosi, altri un po’ meno. In ogni caso, ci fanno capire molto bene che anche i più grandi artisti che abbiano mai calcato un palcoscenico sono persone esposte alle fragilità e ai timori che, prima o poi, attanagliano qualsiasi essere umano.
Cantanti, attori, presentatori. Soffrivano d’ansia da prestazione Luciano Pavarotti, Ella Fitzgerald ed Enrico Caruso. E pure Brian Wilson dei Beach Boys, per toccare anni e stili musicali più recenti. Aveva un problema di confronto con il pubblico anche la cantante americana Barbra Streisand, che dopo aver dimenticato le parole di una sua canzone durante un live a Central Park nel 1967, ha rifiutato di esibirsi per ben ventisette anni: «Non riuscivo a venirne fuori. È stato uno shock per me aver dimenticato le parole. Non facevo alcuna ironia su tutto questo», ha raccontato la Streisand a un giornalista dell’emittente ABC. «Sai, io non invento le parole… Alcuni artisti se la cavano veramente bene quando dimenticano le parole. Dimenticano le parole tutte le volte, ma in qualche modo sanno essere ironici. Non ho cantato davanti a un pubblico per 27 anni, a causa di quella serata. Mi dicevo: “Dio, non so. E se dimenticassi di nuovo le parole?”». Alla fine Barbra ha superato la sua idiosincrasia ed è ritornata sul palco negli anni Novanta.
La cantante Adele, poi, ha persino vomitato per la tensione, ma non si fa alcun problema nel ricordare l’episodio. Anche l’attore Benedict Cumberbatch (The Imitation Game) ha riferito di vomitare per lo stress alla vigilia delle sue prime a teatro. Il “nostro” Fiorello, invece, affronta l’ansia da palcoscenico con metodi alternativi, ad esempio assumendo i fiori di Bach, uno dei capisaldi della medicina omeopatica. Ma non sempre funzionano: nel 2009 ha dovuto terminare con un quarto d’ora d’anticipo la prima puntata di un suo programma su Sky.
Musicisti. Pare che nemmeno i musicisti se la cavino molto bene quando si tratta di esibirsi davanti a una platea. Il marchese Andrés Segovia, chitarrista d’eccellenza che pose le basi per lo studio della chitarra classica, si sentiva «le ossa scricchiolare» prima di ogni concerto. Forse era la Musa che lo ispirava, in ogni caso Sagovia preferiva citare Sarah Bernhardt, la diva del cinema che D’Annunzio volle per le rappresentazioni dei suoi lavori (scatenando così l’ira della Duse): secondo l’attrice, ci si strazia di paura proprio perché si ha talento. Passando dalla chitarra al piano, possiamo citare Glenn Gould, che si esibiva solo in sala di registrazione, o Vladimir Horowitz, che non diede concerti per dodici anni. Quando si convinse a ritornare davanti al pubblico, adottò un rituale scaramantico: pretese di seguire una dieta speciale, basata su asparagi e sogliola di Dover. Anche gli strumentisti a fiato non se la cavano bene. Secondo un sondaggio dell’International Conference of Symphony and Opera Musicians risalente al 1987, il 27 percento degli orchestrali intervistati era sotto terapia a base di betabloccanti, per rallentare il battito cardiaco. E tenere sotto controllo l’ansia.
Ricorrere ai farmaci non è una soluzione, perché le performance più riuscite sono quelle che riescono a gestire l’adrenalina e a incanalarla positivamente, non quelle che la soffocano. Per uscire dallo stage fright è necessario seguire delle cure diverse, che di certo richiedono più tempo, ma che alla fine producono risultati duraturi. Serve meditazione, esercizio fisico per scaricare la tensione dei muscoli, una dieta leggera (non aveva tutti i torti, Horowitz), presentarsi prima a teatro per familiarizzare con l’ambiente. Passeggiare. E avere pazienza. Il panico che precede o accompagna un’esibizione è spesso difficile da gestire, perché tende a fare perdere il controllo di sé. Scatta una misura di autodifesa che induce l’artista ad astrarsi dalla contingenza, come se non fosse veramente lì, sul palco. Sara Solovitch ricorda quello che le era accaduto quando si esibì per la prima volta, davanti ai compagni di classe: «Mi osservavo dall’alto, da un punto di vista lontanissimo dalla tastiera: vedevo un corpo che aveva perso ogni responsabilità. Il controllo l’aveva preso la paura, un organismo indipendente che mi scaturiva dentro, il mio Rosemary’s baby». Ma alla fine c’è riuscita, a sbarazzarsi della paura. Ha suonato per un’ora, in pubblico, e ha sconfitto il demone del panico.
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